Non dove lavori ma come lavori: offrire un’esperienza lavorativa di senso

Perché la cultura è una leva organizzativa strategica per le organizzazioni
 

17 Giugno 2025 5 min.

Viviamo in tempi in cui i modelli tradizionali si sono sgretolati e i paradigmi organizzativi evolvono profondamente e in modo continuativo. Il binomio 2020-2021 è stato spartiacque rispetto alle modalità di lavoro, alle aspettative delle persone e alle pratiche manageriali. E ha avuto effetti duraturi.

Il lavoro non è più solo un luogo presso cui ci rechiamo, ma un’esperienza sul cui senso ci interroghiamo.

Per recuperare questo senso, tra tutte le leve organizzative a disposizione ce n’è una che, se ben compresa e attivata, ha il potere di generare valore duraturo, attrattività e performance soddisfacenti: la cultura.

I bias attorno alla cultura e il suo valore strategico

Per molto tempo la cultura è stata vista come una tematica soft, un nice-to-have a piè della lista di priorità più stringenti. Un tema reputato appannaggio quasi esclusivo della funzione HR, adatto a presentazioni ispirazionali ma poco utile a incidere realmente sui risultati aziendali. Il focus erano i numeri, i processi, i KPI.

La cultura? Bella, ma non misurabile. Non strategica. Non urgente.

Fonte: OpenKnowledge

Sfatiamo qualche mito.

1

La cultura esiste anche se non lo sai.
Ogni organizzazione ne possiede una perché qualsiasi gruppo di persone pensa e agisce in base a un set di valori e convinzioni più o meno condivise. Quindi, la cultura esiste anche quando non è esplicita, anche quando non è dichiarata o nessuno la gestisce.

2

È concreta e osservabile.
Si manifesta nei comportamenti che abbiamo, nei linguaggi che adottiamo, nel modo in cui ci relazioniamo e abitiamo lo spazio fisico e digitale. È l’espressione tangibile di valori, cre-denze, mindset condivisi.

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Influenza le performance.
Ossia la capacità dell’organizzazione di realizzare una strategia. La cultura modella le deci-sioni, orienta le priorità, definisce il modo in cui si lavora: per questo, impatta la produttività, l’innovazione e persino il clima emotivo interno. In altre parole: impatta gli economics.

Oggi, ce lo dicono anche i numeri.

Fonte: SHRM, The State of Global Workplace Culture in 2024

In un’epoca di job-hopping e post-retention – dove le persone costruiscono percorsi professionali fluidi, guidate non più dalla lealtà verso un’organizzazione, bensì dalla lealtà verso loro stesse, da interessi personali e da una ricerca individuale di senso – trattenere il talento è un’idea obsoleta e anacronistica. Piuttosto, le organizzazioni dovrebbero concentrarsi su come attrarlo e valorizzarne la collaborazione nel momento in cui è più utile e generativo per entrambi.

In questo contesto, la cultura è una leva organizzativa concreta e misurabile e genera un terreno fertile per offrire un’esperienza lavorativa significativa e trasformativa.

La cultura come collante organizzativo

Ricerche risalenti a quest’anno dimostrano come non ci sia una discrepanza rilevante tra modello di lavoro in presenza e modello ibrido o da remoto rispetto alla valutazione dei dipendenti su collaborazione, connessione, innovazione mentorship e formazione.

Come organizzazione, quindi, non ha più senso interrogarsi solo su dove si lavora. I quesiti chiave sono come e perché si lavora.

Non è più questione di spazi, ma di luoghi. In inglese la distinzione è chiara: dallo space – fisico, tangibile, attraversabile – siamo passati al place, uno spazio relazionale e simbolico che genera significato, motivazione e senso di appartenenza.

Il luogo di lavoro, oggi, è un ecosistema. E la cultura è il suo sistema operativo.

Fonte: OpenKnowledge

La cultura diventa così il vero collante dell’organizzazione: è in grado di tenere insieme persone, team, processi e obiettivi travalicando i confini fisici dello spazio e garantendo un funzionamento organizzativo armonioso e sostenibile.

Agendo su tre dimensioni integrate:

  • Individuale: come interpreto il mio ruolo, prendo decisioni, mi relaziono al lavoro,
  • Sociale: come collaboriamo, comunichiamo, ci riconosciamo come gruppo,
  • Ambientale: come abitiamo e utilizziamo gli spazi, fisici e digitali,

la cultura fornisce una direzione e funge da pilota automatico dell’organizzazione, definendo come essa pensa, agisce e performa collettivamente. Nutre l’esperienza di senso, genera coesione e rende le strategie effettivamente attuabili.

Abilitare una cultura efficace

Non esiste una formula magica, né una cultura, buona, cattiva o perfetta, che sia valida per ogni organizzazione.

Ogni intervento culturale è un lavoro di precisione, da calibrare sul contesto, sull’identità e sugli obiettivi specifici dell’organizzazione. Le leve da attivare per realizzare un cambiamento nei modi di pensare e di operare delle persone – e, quindi, della loro esperienza lavorativa a 360 gradi – sono molteplici, così come le dimensioni da considerare: individuale, sociale, ambientale.

DECODE – Decifrare il sostrato culturale

Per agire sulla cultura, dobbiamo prima comprenderla. Anzi, comprenderle.

Spesso in un’organizzazione convivono più sotto-culture: i gruppi di persone al suo interno orchestrano i loro comportamenti in base a set di valori e convinzioni condivise e la coesistenza di più modi di pensare e di lavorare, se da una parte è fonte di ricchezza e innovazione, dall’altra può avere impatti negativi sulla capacità dell’organizzazione di seguire la propria strategia e ottenere i risultati attesi.

In primis, è quindi fondamentale decodificare come le persone pensano, agiscono, decidono, collaborano, analizzando le dinamiche individuali, sociali e ambientali per identificare leve, barriere e aree di rischio.

Fonte: OpenKnowledge

ORIENT – Dare forma intenzionale all’evoluzione culturale

La cultura, se non la progetti, si progetta da sola.

In modo spontaneo, caotico, a volte disfunzionale. Orientarla significa invece guidare con cognizione il funzionamento dell’organizzazione in modo coerente con l’identità dell’azienda e con i suoi obiettivi.

Questo non si traduce meramente in un elenco di valori sul manifesto, che è l’emanazione sintetica e visuale di un pensiero articolato a riguardo, ma implica il doverli tradurre in comportamenti, rituali e pratiche quotidiane concrete, osservabili e valutabili nella loro coerenza con gli intenti strategici.

Progettare un intervento culturale significa (ri)disegnare un sistema coerente che guidi l’azione organizzativa a livello sistemico e che valorizzi allo stesso tempo la dimensione del singolo, che è fatta di attitudini, peculiarità e potenzialità individuali.

Fonte: Openknowledge

ACTIVATE – Passare dalla dichiarazione all’azione

Perché non rimanga semplicemente uno statement, una cultura va messa in azione nei comportamenti, nelle dinamiche relazionali e nell’efficacia decisionale con iniziative concrete, che incidano nel modo in cui le persone lavorano, collaborano, decidono.

Per questo, accompagniamo le organizzazioni attraverso veri e propri piani di attivazione culturale e change management: esperienze, artefatti, rituali, simboli, formazione, comunicazione interna, nuovi processi e strumenti che supportano il cambiamento desiderato.

Fonte: OpenKnowledge

Qualche spunto da considerare nel (ri)pensare la workplace experience

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La dimensione sociale deve essere intenzionale
Con il venir meno della dimensione fisica dell’ufficio come variabile certa, le connessioni umane, un tempo serendipiche e conseguenze scontate della condivisione degli spazi, oggi devono essere un obiettivo progettuale. Non succedono più da sole: vanno abilitate.

2

Leadership e fiducia consentono di gestire una più alta flessibilità
Il contesto è sempre più fluido e l’antitesi a paradigmi rigidi e controllanti, che si fondano sull’osservabilità delle persone a lavoro, è fatta di una cultura fondata su stili di leadership e pratiche manageriali ad alta fiducia e responsabilità diffusa, che generalmente consentono alle persone più alti livelli di flessibilità sulla scelta del luogo di lavoro e garantiscono co-munque comportamenti positivi e performance concrete.

3

Lo spazio deve diventare una proxy della cultura
Lo spazio — fisico, digitale, simbolico — è un medium narrativo. Il modo in cui è progettato e in cui lo abitiamo può raccontare chi siamo, favorire connessioni e pratiche collaborative, in-fluenzare la motivazione e il senso di appartenenza. In altri termini, diventa strumento fondamentale per rafforzare la cultura esistente o per cambiare la cultura di un luogo di lavoro.

La cultura diventa, quindi, il driver chiave che permea anche la dimensione spaziale e attorno al quale riprogettare un’esperienza lavorativa efficace, significativa e soddisfacente per le persone.

Autrice

Silvia Basilico

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