La comunicazione interna: le nuove sfide, le nostre nuove risposte.

Negli ultimi mesi, oltre alla mascherina, anche la comunicazione interna continua ad essere sulla bocca di tutti. Mentre, noi di OpenKnowledge riflettiamo sulle trasformazioni in corso per integrarle nel nostro approccio.

2 Novembre 2020 5 min.

La pandemia in corso ci ha coinvolti in una situazione inedita, incerta e soggetta a rapidi cambiamenti: si parla di tante fasi, di ritorno alla normalità e di punti di non ritorno a quest’ultima. In questo contesto la comunicazione interna, intesa come lo strumento “istituzionale e autorevole” che permette a tutti i team aziendali di condividere messaggi in maniera trasversale e corretta, è diventata elemento irrinunciabile. Gli ultimi mesi sono stati una straordinaria occasione per elevare la comunicazione interna ad un livello più profondo: è stata chiamata ad essere ancora più tempestiva nonostante le incertezze e a semplificare la complessità comunicandola con trasparenza e coinvolgendo i dipendenti ancor più di prima. Queste sfide mostrano le nuove priorità della comunicazione interna, ma anche che per gestirle con successo occorre ripensare i pilastri su cui la comunicazione interna si basa.

Occorre ripensare la comunicazione interna

Al centro degli studi legati a questo tema spicca una recente pubblicazione di IC Kollectif, organizzazione no-profit che promuove la gestione strategica della comunicazione interna. Il repertoire che mettono a disposizione è una raccolta aggiornata di materiali, sia professionali che di taglio accademico, che affrontano la comunicazione interna sotto punti di vista differenti, ma tutti accomunati dall’esigenza di ripensarla.

Ma cosa significa ripensare?

Ci siamo chiesti: se va ripensata, come va ripensata? Abbiamo ipotizzato due possibili interpretazioni: da un lato vi è l’opportunità di “ripesare” – così come suggerisce l’etimologia del verbo ripensare – la comunicazione interna per migliorarla. Dall’altro vi è l’opportunità di pensare a qualcosa di nuovo che la muti radicalmente. In entrambi i casi si parla di cambiamento della comunicazione interna e della necessità di costruire maggiore empatia con i dipendenti, ma è rilevabile una sottile differenza. Vediamo quale.

Perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi: l’empatia per portare le persone dove vuoi che siano

Partiamo dalla prima interpretazione: “ripesare” la comunicazione interna per migliorarla, dunque per affinarla, rigenerarla. Tale approccio risulta utile laddove si sia già registrata, nel periodo intenso della pandemia, una performance soddisfacente della comunicazione interna in termini di tempestività, azione e di dosaggio sensato degli strumenti (es: news, dem, email, video, infografiche, podcast). Tutti elementi necessari ma perfezionabili, visto che in situazioni di emergenza si assiste ad un assottigliamento della componente umana per dare spessore a quella informativa. Se dovessimo sintetizzare quest’osservazione attraverso la nostra metodologia trifasica informare, ingaggiare, fare, questo sarebbe il peso di ciascuna fase.

Uno sbilanciamento naturale in tempi di emergenza, ma altrettanto rischioso: infatti se da un lato soddisfa il fabbisogno informativo dei dipendenti, dall’altro può generare un’eccessiva aderenza agli obiettivi aziendali e alle policy, portando le persone ad essere dove l’azienda vuole che siano. Questa necessarietà segnata dalla situazione contingente va accompagnata con una consapevolezza: a maggiore informazione non necessariamente corrisponde maggiore empatia (How to guide employee & internal communication, Edelman).  Occorre dunque uno sforzo ulteriore per equilibrare le restanti fasi.

Perché tutto cambi bisogna che tutto cambi: empatia per portare alle persone dove hanno bisogno di essere

La seconda interpretazione riformula la famosa frase de Il Gattopardo in “perché tutto cambi bisogna che tutto cambi”, svincolando la comunicazione interna dalle definizioni che l’hanno contraddistinta finora. Benché quest’impostazione possa apparire estrema, sembra essere l’opzione che dà spazio all’ingaggiare e al fare strizzando l’occhio alle aspettative nascenti verso la comunicazione interna. Ora le persone hanno maggiore consapevolezza sul ruolo della comunicazione interna e hanno compreso che questa, oltre ad avere un valore in più sui tavoli decisionali (How to secure a seat at the table post COVID-19), ha un significato per la loro vita lavorativa (10 Shocking Internal Communications Stats You Can’t Ignore). Questa presa di consapevolezza si traduce in un innalzamento delle aspettative e in una maggiore richiesta di coinvolgimento da parte dei dipendenti. Un coinvolgimento che non deve considerare soltanto la sede geografica di lavoro, il tempo di permanenza in azienda o il job title, ma deve esplorare anche altri parametri.

Post-lockdown personas – l’importanza dell’ascolto

Se prima una delle principali missioni della Comunicazione Interna era quello di comunicare il messaggio giusto alla persona giusta attraverso un’accurata segmentazione del target, ora la sfida è quella di riuscire a sviluppare una comunicazione empatica con i dipendenti. Occorre creare empatia per portare le persone non soltanto dove vuoi che siano, ma dove hanno bisogno di essere. Il “dove” non è da intendersi come un luogo fisico, ma come una necessità comunicativa che muta insieme agli impatti che la pandemia ha provocato sulle persone. Considerando il turbolento scenario che cambia le carte in tavola ogni giorno, non è facile mettersi in ascolto, nonostante siano molteplici gli strumenti a disposizione (dalle survey più articolate alle pulse survey, dai focus group a workshop più partecipativi). Non è facile perché occorre essere in grado di mettere il sentiment a servizio della comunicazione.
In questo punto critico entra una grande opportunità per la comunicazione interna: lo strumento delle personas, ovvero delle ricostruzioni fittizie ma verosimili dei dipendenti. Una possibile proposta di personas a cui ispirarsi è la seguente.

Cosa comporta l’adozione delle personas all’interno di un piano di comunicazione interna?  

  • Cambio semantico: le parole utilizzate nelle news, nelle newsletter, nella voce narrante di un video, sono oggetti significanti. Esistono parole lente e veloci, pesanti e leggere, rigide o flessibili. Il loro utilizzo in qualsiasi strumento di comunicazione interna contribuisce a creare una narrazione, ovvero una cornice interpretativa al cui interno il dipendente si ritrova. Prendendo l’ipotesi di personas proposta sopra, è chiaro che espressioni che attingono da campi semantici legati alla ripresa, alle opportunità, al futuro non sono adatte a chi percepisce ancora paura e incertezza.
  • Personalizzazione delle iniziative: le iniziative di coinvolgimento, protagoniste della fase “ingaggiare”, hanno l’obiettivo di mettere il dipendente in una posizione attiva. Nel quadro della situazione contingente,  la comunicazione interna ha il compito di avvicinare e non di separare. Questo è possibile lavorando su di essa a due vie proseguendo in due direzioni: da un lato la comunicazione interna deve nutrire il senso di appartenenza all’azienda, dall’altro deve fare da collante tra le persone e per le persone. Alla luce di questa considerazione l’ascolto delle esperienze e la relativa costruzione di personas risultano ancor più funzionali per mettere in pista iniziative di ingaggio non solo company -driven ma people-driven. Ad esempio, possono essere messe in atto delle iniziative di ingaggio “universali” a cui i dipendenti partecipano bottom-up, ma anche altre più personalizzate in base alle loro caratteristiche e al loro sentiment.

Un “back to normal”per la comunicazione interna dunque è possibile, ma a condizione che ci sia una nuova consapevolezza sul valore dell’empatia e sugli impatti che può avere sugli output di comunicazione. Tenere a mente questi aspetti rappresenta una base di partenza utile a comprendere che anche le metodologie in uso devono evolvere in un mondo sempre più V.U.C.A (Volatile, Incerto, Complesso, Ambiguo). Un esempio? La metodologia informare-ingaggiare-fare che caratterizza i piani di comunicazione interna per i nostri clienti, andrà sempre più integrandosi con una dimensione dedicata all’ascolto dei dipendenti e all’adattamento delle iniziative in linea con la loro sensibilità.

La fase “informare” potrebbe essere così integrata da un’attività preparatoria di “hear me” grazie alla quale differenziare la cifra stilistica del piano di comunicazione. Per rivolgersi ad uno “entusiasta” nostalgico dell’ufficio che non aspettava nient’altro che il ritorno, il messaggio dovrebbe esprimere altrettanto entusiasmo, mentre per i “resistors” dovrebbe essere più rassicurante.
 La fase “ingaggiare”, se intesa come una fase di estensione della prima, diventerebbe un’occasione di coinvolgimento, ma anche un momento di conoscenza (“know me”) delle percezioni più profonde dei dipendenti. Ad esempio, “gli entusiasti” potrebbero essere coinvolti la realizzazione di un album fotografico “Il tuo ufficio a casa” così da ricreare una versione casalinga dell’ufficio, mentre per i “resistors” la stessa iniziativa potrebbe declinarsi in un videoracconto che illustra i vantaggi del lavoro da casa.

Alla luce di queste liaisons, la fase del “fare” si arricchisce di un significato più ampio che possiamo chiamare “value me”. È il valore che resta nella testa e nel cuore dei dipendenti.

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